Seppellite il mio cuore a Wounded Knee di Dee Brown, Mondadori editore
Lo storico Dee Brown nel Novecento ha raccolto testimonianze dei pochi sopravvissuti e documenti ufficiali per ricostruire la dolorosa storia dello sterminio dei Nativi americani attuato in forma massiccia tra il 1860 e il 1890, ma iniziato subito dopo la scoperta delle Americhe. Storie di massacri e di imbrogli ai danni di Sioux, Cheyenne, Apache, Navaho e decine di altre popolazioni. L’uomo bianco aveva deciso di impossessarsi delle loro terre a tutti i costi e così nuovi coloni, esercito, costruttori di ferrovie e commercianti si insediarono nei luoghi sacri dei Nativi, li hanno fatti arretrare sempre di più allontanandoli dalle terre fertili e ricche di animali che cacciavano per la loro sopravvivenza. Alla fine, dopo averli decimati e spogliati di tutte le loro ricchezze, li confineranno in piccole riserve, senza diritti.
Cronaca di un genocidio
Un libro crudo che racconta i nudi fatti così come sono avvenuti. L’orrore del genocidio attuato coscientemente come atto fondante dello Stato americano traspare a ogni pagina. Assistiamo increduli alla doppia tecnica utilizzata dai bianche invasori. Da un lato le firme strappate con l’inganno per impossessarsi dei territori “legalmente”, dall’altro la violenza inaudita verso un intero popolo. Donne, vecchi e bambini uccisi senza nessuna remora, corpi mutilati, villaggi incendiati. Persone inermi che chiedevano solo di vivere in pace nei luoghi dei loro antenati hanno subito una persecuzione calcolata e mirata al loro totale annientamento, una vera e propria “soluzione finale” attuata senza l’organizzazione diabolicamente metodica dei tedeschi. Ma uno sterminio resta sempre uno sterminio, sotto qualsiasi bandiera avvenga e con qualsiasi modalità.
Ecco cosa riporta Dee di quanto scriveva il generale Carleton:
«Ditegli: “Andate al Bosque Redondo, o vi perseguiteremo e vi distruggeremo. Siamo disposti a fare la pace con voi solo in questi termini… Ora che abbiamo cominciato, questa guerra continuerà contro di voi anche se dovesse durare anni, fino a quando voi cesserete di esistere o di muovervi. Non vi è nient’altro da dire sull’argomento”»
Ecco invece come viene descritto l’eccidio di Sand Creek del 1864:
“In quel momento centinaia di donne e bambini cheyenne si stavano radunando intorno alla bandiera di Pentola Nera. Risalendo il letto asciutto del torrente altri giungevano dal campo di Antilope Bianca. Dopo tutto, il colonnello Greenwood non aveva detto a Pentola Nera che finché fosse sventolata la bandiera americana sopra la sua testa, nessun soldato avrebbe sparato su di lui? Antilope Bianca, un vecchio di settantacinque anni, disarmato, il volto scuro segnato dal sole e dalle intemperie, camminò a grandi passi verso i soldati. Egli credeva ancora che i soldati avrebbero smesso di sparare appena avessero visto la bandiera americana e la bandiera bianca della resa che aveva ora innalzato Pentola Nera.
Polpaccio Stregato Beckwourth, che cavalcava a fianco del colonnello Chivington, vide avvicinarsi Antilope Bianca. «Venne correndo verso di noi per parlare al comandante,» testimoniò in seguito Beckwourth «tenendo in alto le mani e dicendo: “Fermi! fermi!”. Lo disse in un inglese chiaro come il mio. Egli si fermò e incrociò le braccia finché cadde fulminato». I sopravvissuti fra i Cheyenne dissero che Antilope Bianca cantò il canto di morte prima di spirare:
Niente vive a lungo Solo la terra e le montagne.
Provenienti dal campo arapaho, anche Mano Sinistra e la sua gente cercarono di raggiungere la bandiera di Pentola Nera. Quando Mano Sinistra vide le truppe, si fermò con le braccia incrociate, dicendo che non avrebbe combattuto gli uomini bianchi perché erano suoi amici. Cadde fucilato.
Robert Bent, che si trovava a cavallo suo malgrado con il colonnello Chivington, disse che, quando giunsero in vista al campo, vide «sventolare la bandiera americana e udii Pentola Nera che diceva agli indiani di stare intorno alla bandiera e lì si accalcarono disordinatamente: uomini, donne e bambini. Questo accadde quando eravamo a meno di 50 metri dagli indiani. Vidi anche sventolare una bandiera bianca. Queste bandiere erano in una posizione così in vista che essi devono averle viste. Quando le truppe spararono, gli indiani scapparono, alcuni uomini corsero nelle loro tende, forse a prendere le armi… Penso che vi fossero seicento indiani in tutto. Ritengo che vi fossero trentacinque guerrieri e alcuni vecchi, circa sessanta in tutto, il resto degli uomini era lontano dal campo, a caccia. Dopo l’inizio della sparatoria i guerrieri misero insieme le donne e i bambini e li circondarono per proteggerli. Vidi cinque squaws nascoste dietro un cumulo di sabbia. Quando le truppe avanzarono verso di loro, scapparono fuori e mostrarono le loro persone perché i soldati capissero che erano squaws e chiesero pietà, ma i soldati le fucilarono tutte.”
Alla base di questo orrore c’era una aberrante teoria:
“Per giustificare queste violazioni della «frontiera indiana permanente» i politici di Washington inventarono la teoria del Destino Manifesto, un termine che poneva la fame di terra su un piano elevato. Gli europei e i loro discendenti erano chiamati dal destino a governare tutta l’America. Essi erano la razza dominante e quindi responsabili degli indiani – insieme alle loro terre, alle loro foreste e alle loro ricchezze minerali.”
E più esplicitamente:
«Le ricche e belle vallate del Wyoming sono destinate ad essere occupate e a servire al sostentamento della razza anglosassone. Le ricchezze che da tempi immemorabili giacciono nascoste sotto le cime coperte di neve delie nostre montagne sono state poste li dalla Provvidenza per ricompensare gli spiriti coraggiosi la cui sorte è quella di comporre l’avanguardia della civiltà. Gli indiani devono tenersi in disparte o essere sommersi dalla marea di emigranti che continua ad avanzare e ad aumentare. Il destino degli aborigeni è scritto in modo inequivocabile. Lo stesso inscrutabile Arbitro che decise la caduta di Roma ha pronunciato la sentenza di estinzione sugli uomini rossi d’America».
Così lontano, così vicino
Nel libro assistiamo allo stravolgimento dell’epopea del Far West e leggiamo fatti che risuonano tristemente attuali, perché la volontà di dominio dell’uomo sull’uomo resta eguale nei secoli. E non si tratta poi di vicende così lontane nel tempo. Dopotutto gli eventi narrati sono avvenuti una manciata di anni prima della Seconda Guerra Mondiale. Eppure sembrano così distanti e spesso non sono riconosciuti come una tragedia epocale che merita attenzione, sdegno e perpetuo ricordo. E probabilmente non sono in molti a sapere che il 29 novembre cade il Native American National Heritage Day. Anche se questa data non è un giorno per ricordare le vittime ma un riconoscimento dell’importanza della cultura nativa. Certo meglio di niente…
Un libro fondamentale per conoscere la Storia moderna e che andrebbe assolutamente letto nelle scuole perché è sempre importante e doveroso non dimenticare.