Ninfa dormiente di Ilaria Tuti, Longanesi edizioni
Teresa Battaglia questa volta si trova in val Resia, in Friuli. La valle ha una caratteristica particolare: è abitata dai discendenti di un’antica popolazione di origina slava arrivata lì circa millecinquecento anni or sono. A testimonianza della loro provenienza vi sono il dialetto particolare, caratterizzato da termini in proto slavo, e le musiche con il loro accompagnamento di danze e strumenti tipici. In questa insolita scenografia si svolge tutta l’azione.
Il commissario dall’ intuizione straordinaria è chiamato a risolvere un cold case. Durante una mostra d’arte si scopre che un quadro, risalente alla fine della Seconda Guerra Mondiale, è stato dipinto con il sangue. Una volta appurato che le tracce ematiche appartengono a una ragazza scomparsa in quel periodo nella valle, Teresa si mette alla ricerca del colpevole. L’autore del quadro dopo averlo dipinto si è chiuso ormai da anni in una forma di mutismo e di rifiuto del mondo e non può essere d’aiuto e l’unica possibilità è parlare con qualcuno dei parenti ancora in vita della ragazza.
Tra riti sciamanici e culti della dea madre il commissario dovrà riuscire a salvare nuove potenziali vittime. L’assassino infatti vuole difendere il proprio segreto a tutti i costi. Nel frattempo la malattia di Teresa avanza mentre il suo braccio destro Marini non riesce più a tenere nascosto ciò che lo tormenta.
Ambientazione vs personaggi
L’ambientazione del romanzo è suggestiva, in una val Resia dai contorni misteriosi e selvaggi. Non si può dire altrettanto dei protagonisti e delle loro vite private che sono sempre più invadenti nella narrazione.
Da un lato Marini e la sua fragilità dovuta a traumi infantili che lo rendono timoroso di sposarsi e avere figli, dall’altra Teresa con la demenza che avanza. Entrambi sono eccessivi e fuori dalle righe. L’uno così pieno di complessi e paure da renderlo inadatto a una posizione di comando nelle investigazioni, l’altra con una malattia subdola che la rende altrettanto inadatta al ruolo che occupa. Se da un lato l’atteggiamento di Marini è esagerato, al limite del patologico, dall’altro l’Alzheimer vissuto da Teresa ha un aspetto delicato e paziente che poco rispecchia la realtà della malattia, i suoi sintomi e il loro acuirsi senza preavviso.
Nel momento in cui viene diagnosticato con sicurezza spesso si è già oltre alle semplici avvisaglie e tenere un diario, come fa Teresa, non è più sufficiente a colmare i buchi di memoria sempre più profondi. Purtroppo non basta rileggere alcune pagine riguardo ad avvenimenti recenti per riprendere in mano il filo della propria vita… Tutto il comportamento di Teresa è francamente poco credibile e poco coerente con la dura realtà della malattia.
Come nel Codice da Vinci il culto della dea madre è il filo rosso che unisce tutti gli eventi, del passato e del presente e il finale aperto lascia pensare che prima o poi ritroveremo alcuni dei personaggi.