L’uomo delle castagne di Søren Sveistrup, Rizzoli editore
Tutto ha inizio nel passato, nel 1987 per la precisione, quando il detective Larsen scopre una scena del delitto che lo turba. All’interno di una fattoria trova numerosi corpi barbaramente uccisi e due bambini spaventati in mezzo a decine di omini fatti con le castagne e pezzetti di legno. Ma quello di cui non si accorge è che l’assassino è ancora lì…
Ritornando al presente conosciamo Rosa Hartung, ministra degli Affari sociali. È appena rientrata al lavoro dopo una pausa dovuta a un dramma familiare. La figlia Kristine è infatti scomparsa da un anno mentre il presunto assassino si trova in carcere.
Intanto la giovane detective Naia Thulin e l’investigatore dell’Europol Mark Hesse si ritrovano a indagare su un serial killer che uccide e mutila le sue vittime lasciando come firma un omino di castagne. Il particolare inquietante è che sulle castagne ci sono le impronte di Kristine. La ragazzina sarà ancora viva o si tratta di un macabro scherzo? E in tal caso come possono essere finite lì le impronte?
Le indagini si muovono su più fronti, non viene esclusa la pista politica anche se dietro agli omicidi sembra esserci del risentimento verso le vittime, ritenute colpevoli di aver trascurato i propri figli e di averli messi in pericolo. Così un po’ alla volta la polizia inizia a scavare nel passato delle famiglie coinvolte e scoprirà piccoli e grandi orrori. Il filo conduttore di un’infanzia abusata sarà quello che porterà alla scoperta dell’assassino.
Il rispetto dei canoni
Il romanzo, da cui è stata tratta una fortunata serie per Netflix, procede spedito e cattura il lettore sin dalle prime pagine. Il libro rispecchia perfettamente i canoni del genere: le false piste, i detective con una vita affettiva tormentata, l’interrogatorio del criminale psicopatico che potrebbe conoscere l’assassino, indigenza e disagio sociale come base del crimine, l’elemento scatenate che si trova nell’infanzia del killer.
L’autore costruisce una trama solida e le tracce che conducono all’assassino non sono così difficili da trovare. Il movente è svelato solo alla fine e riannoda tutti i fili lasciati sospesi a partire da quel lontano 1987 e ancora prima all’origine del male.
I personaggi sono tratteggiati in modo efficace, con particolare attenzione ai due investigatori, tra i quali, come tradizione vuole, non può che scoccare un romance.
La riuscita del libro risiede proprio nell’assoluto rispetto delle regole narrative e nel fatto che il lettore trova esattamente quello che si aspetta da un thriller: tensione, un assassino individuabile, un movente nel complesso plausibile anche se, com’è naturale per questo genere di narrativa, portato all’estremo.
Sullo sfondo una Danimarca grigia dove i drammi sociali sono all’ordine del giorno, come del resto sembra abbondantemente sottolineare tutta la narrativa thriller nordica.