Le veglie alla fattoria di Dikanka di Nikolaj Vasil’evič Gogol’, Einaudi editore
“V’è da noi, qua in campagna, un’antica usanza: allorché i lavori dei campi son finiti, i villani vanno a sdraiarsi sopra la stufa per riposare tutto l’inverno; e la gente par mia, gli apicultori, ripongono le api in un celliere oscuro. Quando l’ultima gru è scomparsa dal cielo – e, dall’albero, l’ultima pera – ecco, state pur certi che all’imbrunire in fondo alla strada trapela un lumicino, e fin da lontano odi i canti e il fragor delle risa, lo strimpellio di una qualche balalaika, e a volte anche un violino, un suon di voci, un brusio… Ecco che cosa sono le nostre veglie!” (Prefazione)
Gogol’ nasce in un villaggio dell’impero russo, in quella che oggi si chiama Ucraina e ieri era nota come Piccola Russia. Al tempo non c’era distinzione tra i due stati e Gogol’ è considerato a tutti gli effetti uno scrittore russo. Ogni regione del vasto territorio aveva sue peculiarità, lingue e tradizioni e Gogol’ attinge al folklore ucraino per questa raccolta di otto racconti.
Alle radici del folklore
Gli archetipi che popolano le brevi storie sono quelli tipici del folklore, comune a tutti i popoli, streghe e diavoli o fantasmi. Siamo ai primi dell’Ottocento in una società contadina e le sere attorno al fuoco si trascorrono raccontando storie e leggende che fanno parte di una memoria letteraria collettiva. Racconti non troppo diversi appartengono anche alla nostra tradizione contadina e a quello che da noi si chiamava “filò”.
Il radunarsi attorno alla stufa, dopo una giornata di duro lavoro, rappresentava il momento della socialità e dell’evasione. I racconti attingevano alla storia del villaggio, a personaggi noti oppure scivolavano nel fantastico o nel pauroso per attirare l’attenzione dei bambini.
Gogol’ si inserisce perfettamente in questa modalità di vita e di narrazione rurale e costruisce le sue piccole storie che parlano di amore e magia, di belle ragazze da conquistare, di ubriachi, di scherzi e fatti in odore di soprannaturale.
Tra lirica e ironia
Ma quel che le rende piacevoli da leggere è l’umorismo che pervade la sua scrittura. L’ironia, che manca nel gothic novel anglosassone, riempie le sue storie. Tragico e grottesco si fondono in un coro di voci che rappresentano la commedia umana. Tra il pianto e la risata scopriamo la vita nella Russia dell’Ottocento, non poi così dissimile dalla nostra. Personaggi e luoghi sono descritti con pazienza e vivacità e sembrano quasi materializzarsi davanti ai nostri occhi. Ecco che conosciamo il diacono Foma Grigor’evič o lo zingaro Grycko, la bella Paraska e il padre Pantofola, Biscotto e la figlia…
Non si può non rilevare che le sue descrizioni sono dense di lirismo e di amore per la sua terra:
“Com’è inebriante, com’è fastoso un giorno estivo nella Piccola Russia! Come spossantemente calde sono le ore in cui il meriggio sfolgora nel silenzio e nella canicola e, cupola voluttuosa, l’oceano azzurro, incommensurabile, reclino sopra la terra, par che si sia assopito, immerso nel languore, recingendo e tenendo stretta la bella nel suo etereo abbraccio! Non c’è una nuvola in esso; non c’è una voce nei campi.” (La fiera di Soročincy)
“Conoscete voi la notte ucraina? Oh, voi non conoscete la notte ucraina! Contemplatela: la luna guarda dal mezzo del cielo; l’immensa volta celeste si è spalancata, si è fatta ancora più immensa: arde e respira. La terra è tutta una luce d’argento; e l’aria è un miracolo, ed è fresca, e ti soffoca, e trabocca languore, e dondola un oceano di profumi. Notte divina! Incantevole notte!” (L’annegata)
In tutte le stagioni la bellezza si fa strada tra boschetti, distese infinite di campi, cieli traboccanti di azzurri e placide acque in un distillato di prosa bucolica.
Da leggere per comprendere la Russia di ieri e di oggi.