La Compagnia della Serenissima di Francesca Sannibale
Siamo a Venezia nel 2007 e casualmente una giovane viene in possesso di un diario di una ragazza vissuta nel 1750 in città, Colomba Naradin. La giovane vive segregata in casa dallo zio, dopo che i genitori erano stati uccisi perché maghi appartenenti alla Compagnia della Serenissima, un’antica associazione di maghi che avrebbe fondato Venezia.
Le vicende della giovane si intrecciano con quelle dell’altrettanto giovane nobile Luigi del Casato, anche lui con poteri magici, e di Olivia, ragazza di umili origini, incaricata di sorvegliare Colomba.
Il romanzo si presenta come un fantasy, ambientato in una Venezia appunto fantastica. Chi cercasse riferimenti storici o paesaggistici reali resterebbe deluso. L’ambientazione infatti è puramente indicativa e potrebbe svolgersi in qualsiasi altro luogo e periodo.
Si tratta di una tipica storia d’amore tra due adolescenti che vengono ostacolati e che alla fine coroneranno i loro sogni, o quasi visto che il finale aperto lascia intravedere nuove peripezie prima del ricongiungimento finale. Il pizzico di magia dovrebbe conferire al testo brio e renderlo più gradito a un pubblico affascinato da trame alla Harry Potter e simili.
Mea culpa
Ammetto che è colpa mia se resto perplessa o delusa. Quando mi imbatto in un libro che ha a che fare con Venezia, non resisto alla tentazione di leggerlo, senza vagliare prima con attenzione il materiale.
In realtà il più delle volte osservo che Venezia è utilizzata come semplice richiamo e la narrazione procede senza nessun particolare riferimento alla Venezia né di oggi né di ieri. Gli autori spesso conoscono la città per sentito dire, per poche frasi lette su Wikipedia, per un breve viaggio in cui hanno ammirato le gondole e la Basilica.
So di avere pretese e di essere di gusti difficili, ma faccio fatica a ritrovare le atmosfere cittadine che ben conosco, in buona parte dei testi che mi capita di leggere.
Devo dire che sinora tra quelli che sono riusciti a rendere con più efficacia le emozioni veneziane vedo Salvalaggio. La sua leggerezza e il suo amore innato per la città che gli ha dato i natali trasformavano le descrizioni e le atmosfere in piccoli quadretti da gustare e permettevano davvero di assaporare la dolce decadenza della Venezia del Novecento. Le sue trame anche se spesso banali e i suoi personaggi spesso simili tra loro riuscivano comunque a essere evocativi.
Ma Salvalaggio appartiene ormai a un’altra generazione di scrittori, diversi per formazione, per stile, per linguaggio. Apparteneva a un’epoca in cui scrivere, sia pure romanzi di intrattenimento, aveva un suo perché e seguiva le regole del buon gusto. Scrittori e lettori avevano dei canoni di riferimento e la mancanza di stile o addirittura le carenze sintattiche non erano ammesse. Ma erano appunto altri tempi…
Tornando alla nostra Compagnia della Serenissima, concludo affermando che è un libro adatto a un pubblico cosiddetto young adult di bocca buona.