La casa delle tenebre di Jo Nesbø, Einaudi editore
Richard Elauved è un adolescente difficile. Dopo la morte dei genitori, vive con gli zii a Ballantyne, un piccolo paese dove non succede mai nulla. A scuola non riesce a socializzare e si comporta da bulletto. Gli unici suoi amici. Tom e Fatso, scompaiono misteriosamente in circostanza a dir poco incredibili. Tom viene risucchiato da una cornetta telefonica e Fatso diventa una cicala e vola via. Richard viene incolpato della loro scomparsa e finisce in un riformatorio. L’unica a dargli fiducia è la sua compagna di scuola Karen che gli suggerisce che dietro a tutti gli strani accadimenti ci sia Imu Jonasson, un personaggio diabolico che faceva uso della logomagia nera e che viveva in una oscura villa fuori città, la casa delle tenebre. Solo il fuoco potrà salvare Richard e Ballantyne.
Tra romanzo di formazione e romanzo psicologico
“Facciamo molte cose stupide quando abbiamo paura. (…) Sono convinto che se solo riuscissi a sbarazzarti di ciò che ti fa paura, riusciresti a trovare un’altra persona, una che ti piace, il ragazzo che eri prima. E allora non sarai più quello che disprezzi al punto da essere cattivo.”
La frase del signor Rice è la chiave per comprendere tutto il libro, assieme alle due parole ripetute: incendio e spazzatura. Di cosa ha davvero paura Richard, ma soprattutto chi è Richard. Lo capiremo poco per volta, nel passaggio dalla prima alla seconda parte e soprattutto nella terza e ultima.
Quello che inizialmente sembra un classico romanzo di formazione alla Stephen King, nemmeno troppo originale, si trasforma in qualcos’altro per sorprendere il lettore.
Se nella prima parte vediamo una sorta di mistery horror con un adolescente alle prese con la paura di diventare grande e di conoscere se stesso, nella seconda abbiamo a che fare con un adulto in preda ad allucinazioni e a un delirio persecutorio. Sarà la terza parte a chiarire tutto, a svelare la vera storia di Richard e a ricomporre tutte le tessere del mosaico.
Il libro non mi ha convinto. I tre momenti narrativi suscitano alcune perplessità. Il primo è il classico romanzo young adult con un pizzico di mistero e si soprannaturale, giocato sull’improbabilità di quanto accade che ha senso solo in quanto metafora della difficolta del divenire adulti. Il secondo ricalca gli schemi dell’horror in stile invasione degli zombie ed è totalmente onirico, talmente esagerato da divenire grottesco. L’ultima parte dà il senso alle altre due ma allo stesso tempo le banalizza riportandole alla spiegazione più ovvia e razionale, togliendo l’alone magico che si scioglie nel risvolto psicologico.
Il passaggio all’età adulta si conclude così nella terza parte, quando paure e disagi prendono forma e da mostri si trasformano in un qualcosa di accettabile e comprensibile. La magia e il mistero lasciano il posto alla razionalità, alla fantasia si sostituisce la realtà. Il fuoco della ragione brucia le paure e trasforma la spazzatura in cenere.