La casa dei silenzi di Donato Carrisi, Longanesi editore
Nuovo episodio per l’addormentatore di bambini, il fiorentino Peter Gerber. Questa volta l’ipnotista si occupa del caso di un bambino di nove anni, Matias, che nei sogni è tormentato dalla figura di una donna vestita di nero e silenziosa. I genitori sono disperati perché il bambino ha paura di dormire e di incontrare la donna che non parla.
Gerber inizia le sedute e quello che scopre è inquietante. Attraverso la voce del bambino scopre di volta in volta nuovi capitoli della storia della misteriosa signora e si rende conto che non è solo un’invenzione onirica. Troppi e precisi particolari la rendono viva e reale e Gerber inizia a cercarla. Tanto più che nei sogni del bambino la donna fa una specifica richiesta di aiuto. La sua storia sfortunata sin dall’infanzia la porta a incontrare uomini che la tormentano e le usano violenza e Gerber decide di porre fine a questa spirale.
Ma la vera domanda è come Matias possa essere a conoscenza di tutti questi dettagli riguardo la vita di una sconosciuta. La risposta, come sempre, si saprà alla fine.
Tra paranormale e razionale
Tutto il romanzo è in bilico tra paranormale e razionale. Anche se il finale riporta tutto sui binari della realtà, tuttavia viene lasciato uno spiraglio aperto su di un altro mondo che attraverso l’inconscio manda segnali a chi li sa ascoltare.
L’ipnotista Gerber ha molti tratti in comune con il più noto collega Erik Maria Bark nato dalla penna di Lars Kepler. Il nome Erik lo ritroviamo come tributo conscio o inconscio nel nome di Erica, la psicologa infantile che ha scoperto attraverso l’ipnosi e alcune particolari radio frequenze l’ingresso in un mondo altro. Ed è proprio Erica a condurre Gerber verso una nuova consapevolezza.
La scrittura è piacevole e il ritmo è incalzante anche se non riesce a sorprendere il lettore. Le situazioni in cui viene a trovarsi l‘ipnotista sono ormai standard: case quasi abbandonate nella campagna fiorentina nel pieno di una bufera notturna. Vento, pioggia e notte buia sono ingredienti immancabili in ogni thriller, che riportano alla mente la famosa scena “Lupo ululà, castello ululì” nel Frankenstein Junior di Mel Brooks.
Eco e il kitsch
D’altra parte è innegabile capiti spesso che, quando si abbonda con gli stereotipi, come insegna Eco, si finisca con l’ottenere un effetto che vira verso il comico. E se l’apoteosi moderna dello scivolone nel kitsch è riscontrabile ne La canzone di Achille, anche i thriller e i gialli non sono esenti da questa ricaduta. Sempre più spesso noto che da nord a sud, dalla Svezia alla Sicilia, l’eccesso di luoghi comuni sfocia in una sorta di parodia. E sempre più frequentemente le trame non sono abbastanza solide e hanno un finale che serve solo a chiudere il romanzo senza soluzione di continuità con il resto.
Forse se anziché sfornare libri come pagnotte gli autori scrivessero meno e in modo più meditato, dal panorama di aurea mediocrità emergerebbe qualcosa di davvero interessante.