Kabbalah noir a Milano di Massimo Bertarelli, Fratelli Frilli Editore
Il vicequestore aggiunto Enrico Tombamasselli dirige il commissariato di Greco-Turro a Milano. Di mezza età, vedovo, vive da solo. La sua vita sociale è ridotta al minimo e si spende interamente nel lavoro. Il caso che gli si presenta ha caratteristiche bizzarre ed inquietanti. Un cadavere viene rinvenuto nel museo dell’HangarBicocca, uno spazio espositivo immenso della Fondazione Pirelli a Milano. Tra le installazioni permanenti ci sono i Sette Palazzi Celesti, opera di Anselm Kiefer. È proprio all’interno della torre Sephirot che viene rinvenuto il corpo di una donna. Tutta la simbologia della torre rimanda alla Cabbala e questa sarà la chiave di lettura che dovrà seguire Tombamasselli per decifrare l’insolito omicidio, il primo di una lunga serie. Ne seguiranno infatti altri quattro, in diverse zone di Milano e il vicequestore dovrà scoprire che cosa li accomuna. Chi è perché ha ucciso barbaramente queste persone? Qual è il motivo che scatenato la furia omicida? Solo scavando nel passato delle vittime il poliziotto riuscirà a trovare il filo rosso che le unisce e a scoprire il volto dell’assassino.
Tombamasselli è un cavaliere solitario, ha scarsi rapporti umani, è di poche parole. Ha un difficile rapporto con le autorità, in particolare con il questore e il suo fastidioso intercalare. Ha una personalità complessa, in parte dovuta alla morte della moglie amata ma che probabilmente affonda le sue radici ancora più in là. Insicurezza e depressioni lo accompagnano sin dall’infanzia e ne è prova lo strano disturbo che gli fa leggere le parole al contrario quando è nervoso. Lavora assieme a una squadra affiatata composta da Assi, Panizza e Tricarico che lo assistono nelle indagini.
Cabbala per tutti
Contorte sono anche la modalità di azione e il movente dell’omicida che sfrutta informazioni “bignamesche” sulla Cabbala ebraica per tramare le sue personalissime vendette. Come per tutti i serial killer la sua mente traumatizzata da un evento lontano lo rende votato alla vendetta. A distanza di decenni farà così giustizia, a modo suo, dei torti subiti ammantandoli di un’aura misticheggiante.
Particolare la scrittura che moltiplica l’io narrante che appartiene ora al vicequestore, ora a uno dei suoi sottoposti, ora all’assassino. L’utilizzo del punto di vista multiplo in realtà non aiuta a decifrare meglio quanto accade sotto gli occhi del lettore, in quanto non riesce a offrire una visione da più angolazioni delle indagini ma risulta piuttosto un escamotage stilistico. Se in una sceneggiatura, pensata per una sequenza di immagini oltre che di parole, ha di certo un senso, in un testo solo scritto suscita invece qualche perplessità.
Sullo sfondo si staglia netta e precisa Milano con tutto il suo bagaglio di inquietudine, di bellezza, di tristezza, di fatica del vivere quotidiano.