Il libraio di Venezia di Giovanni Montanaro, Marsilio editori
Chi non ricorda l’aqua granda del 12 novembre 2019? A Venezia di certo nessuno la può dimenticare. Ha stravolto la vita della città procurandole profonde ferite che non sono a tutt’oggi pienamente risanate. Il giovane Montanaro narra di Rosalba, un’ultra ottuagenaria che vive in un appartamento affacciato su campo San Giacomo dell’Orio. Dalla sua finestra vede e ascolta quello che accade. Raccoglie spezzoni di esistenze, prima tra tutti quella di Vittorio, il quarantenne cadorino che vive da vent’anni a Venezia e gestisce una piccola ma ben fornita libreria. Tutto il mondo di Vittorio ruota attorno ai libri e alla loro capacità di comunicare emozioni e sapere. I libri hanno mille superpoteri, anche quello di far innamorare, come accade alla ventenne Sofia che entra nella vita di Vittorio con la sua effervescenza. Attorno alla libreria una piccola schiera di personaggi, il matematico che non vincerà mai il Nobel (in effetti non può, ai matematici chissà perché non spetta, loro hanno la medaglia Fields), la coppia in eterno litigio (ma in fondo l’amore non è bello se non è litigarello), il bar gestito dai cinesi, il negozio di pianoforti, quello di vetri, l’edicola. Tutto questo piccolo mondo viene improvvisamente stravolto da una marea eccezionale, seconda solo all’alluvione del 1966.
Era il lontano 1979…
Al terzo posto, sopra il metro e sessanta, ci sarebbe quella del 1979 che Montanaro non può ricordare perché non era ancora nato e Rosalba ha evidentemente dimenticato a causa dell’età. Ahimè io invece la ricordo. Quella mattina del 22 dicembre non sono riuscita a raggiungere il liceo Foscarini. Vento, pioggia sferzante e acqua in rapida ascesa mi bloccarono in calle (de la) Racheta e mi convinsero a tornare indietro.
Venezia fragile
Quel che conta è comunque l’immagine che viene offerta di fragilità di Venezia, soggetta alle bizzarrie di una Natura sempre più imprevedibile. Se il Mose riuscirà, nel lungo periodo, nell’intento di salvaguardarla dalle sempre più frequenti alte maree si scoprirà negli anni e nei decenni a venire. Intanto possiamo solo sperare che non si ripetano a breve eventi di una tale portata.
Oltre l’immagine del disastro Montanaro ci mostra un altro lato, quella della solidarietà. I giovani e i non più giovani che nei giorni seguenti all’evento si sono prodigati per riportare Venezia alla normalità scontrandosi con le difficoltà organizzative e la mancanza di coordinazione.
Il concetto di normalità
Ma qual è la normalità di Venezia? La minaccia della marea non è l’unica a metterne in pericolo la ragione d’essere. Venezia è prigioniera del suo fascino e della sua bellezza. Tutti vogliono venire a vederla anche se forse la gusterebbero meglio da casa da un bel televisore a 70 pollici, senza le distrazioni del telefonino e l’obbligo di selfie. Alla fine piazza San Marco e Rialto (le classiche mete del turista medio), sono molto più godibili in alta definizione che di persona personalmente stipati in una comitiva sgomitante tra le calli. E qui ci vorrebbe una bella riflessione sul viaggiare consumistico e sull’impatto ecologico e non solo del turismo di massa…
Tornando al 2019, librerie e biblioteche hanno particolarmente sofferto, ricordiamo in particolare quella del Conservatorio con i suoi preziosi documenti. E ha sofferto tutto il commercio e il comparto turistico, continuando poi nei due anni successivi di pandemia.
Una città senza futuro o un futuro senza città?
E anche questo dovrebbe indurre a una riflessione sul futuro della città. Una città dove i residenti del centro storico sono prossimi a scendere sotto la soglia psicologica dei 50.000, dove i servizi scarseggiano, i trasporti non reggono gli afflussi turistici (venghino venghino siore e siori), i negozi di souvenir e chincaglierie si moltiplicano. Il tutto è diventato evidente nel periodo di post lockdown. Intere calli con serrande abbassate perché nessuno dei negozi vendeva beni necessari, poca gente in giro. Il vantaggio è stato che i residenti finalmente si sono ritrovati. Ho provato l’ebbrezza di rincontrare veneziani, volti che non vedevo da anni, confusi e invisibili in mezzo alle torme di turisti. Chi dice che Venezia era spettrale in quel periodo sbaglia. Venezia era tornata ai Veneziani, per un breve magico momento. Chi come me non è più giovane del resto ricorderà come, fino agli anni Ottanta, la stagione turistica aveva un inizio e una fine. Durante l’inverno Venezia respirava, fino alla primavera. Molti alberghi chiudevano, i gondolieri e le guide turistiche riposavano, i Veneziani si riprendevano la città. Non c’era niente di tragico e le categorie che vivevano di turismo avevano accumulato abbastanza nella bella stagione per sopravvivere più che dignitosamente durante la brutta, senza piangere miseria.
Un modello da cambiare
Cosa non funziona quindi nel modello attuale? L’idea di una strategia economica che prevede una crescita infinita cozza con le risorse finite di questo pianeta. L’idea di una crescita demografica pure. E qui si aprirebbero discussioni che porterebbero a mettere in questione tutto il nostro modo di vivere, ben al di là di qualche allegro sciopero per il clima.
In questo contesto Venezia è l’avamposto di una desertificazione di ideali e valori, il modello di una civiltà del mordi e fuggi, dove tutto è in vendita, basta solo avere abbastanza denaro per comprarlo. La Serenissima, ne sono più che convinta, non sarebbe stata d’accordo…