Il capitalismo della sorveglianza di Shoshana Zuboff, Luiss University Press
Tutti sappiamo che ogni nostra azione sul web o sul telefono viene tracciata, che i social sono collettori di profili. La Zuboff però inanella, un dato dopo l’altro, il come il quando e il perché si sia arrivati a tutto questo. A come Google, Microsoft, Facebook e in parte Amazon ed Apple ci stanno privando della nostra identità. Come il capitalismo ha mercificato il lavoro, così il capitalismo della sorveglianza ha mercificato il comportamento umano.
Tutto quello che facciamo o diciamo viene intercettato da qualche oggetto intelligente che sia computer, telefono, televisore o frigorifero. Questa enorme mole di dati viene accantonata e rielaborata e serve a istruire un’intelligenza artificiale che dovrà indirizzare e predire il nostro comportamento futuro. I dati processati vengono quindi venduti ad aziende, assicurazioni, partiti politici che li utilizzano per i propri scopi e per vendere i loro prodotti, che sia l’aspirapolvere o un candidato alle elezioni. Se pensiamo che il semplice movente sia profilarci ci sbagliamo. Il motivo principale è orientarci, spingerci in una direzione come un branco di pecorelle obbedienti.
Il libro descrive come a partire dalla fine degli anni Novanta sia iniziato il cammino inarrestabile che ha visto nascere questa nuova forma di capitalismo. Il processo ha subito una accelerazione dopo l’attentato alle Torri Gemelle che ha suggellato l’alleanza tra servizi segreti e detentori dei Big Data. Da quel momento la politica americana, tanto per i democratici quanto per i repubblicani, ha intrapreso uno scambio continuo di funzionari tra le grandi aziende dei dati e il governo tanto da non sapere più chi comanda chi. L’Europa ha timidamente tentato di reagire alla massiccia intrusione nel privato dei cittadini ma con scarsi risultati. La Cina ha invece elaborato un suo proprio sistema di gestione che le permette un monitoraggio locale.
Un libro da leggere, ma con due difetti
Il libro è sicuramente utile da leggere in quanto ricca collezione di fatti, non tutti noti. È utile altresì come ricostruzione e come linea previsionale per il futuro. I suoi grossi difetti però sono due.
Il primo riguarda la confusione storica e politica tra due eventi profondamente diversi tra loro: nazismo e stalinismo. Se è vero che entrambi sono stati regimi totalitari che hanno provocato danni immani, è anche vero che accomunarli vuol dire avere idee confuse. Le ragioni storiche e sociali per cui sono nati e si sono sviluppati e anche i danni da loro prodotti sono profondamente diversi. Riunirli sotto un unico denominatore è semplicistico e fuorviante.
Il secondo, forse più grave, è non condurre un’analisi seria sul perché questo capitalismo della sorveglianza sia nato proprio negli USA a cavallo tra fine Novecento e inizio nuovo Millennio. L’autrice individua l’attentato alle Due Torri e la congiuntura economica come ragioni, ma non basta. Una analisi puntuale dovrebbe chiedersi perché il tutto abbia avuto origine lì e non nella vecchia Europa e non nei regimi “totalitari” di Cina e Russia, in teoria i maggiori appassionati al controllo dei cittadini. Probabilmente la risposta potrebbe risultare sgradevole a molti che non ammettono che gli Usa sono la culla di disegni di controllo e dominazione che fin dagli anni Novanta rientravano nel progetto per il nuovo secolo americano. Ecco, forse leggendo quei proclami avremmo qualche idea in più del perché questa nuova forma di capitalismo distruttiva della personalità dell’individuo sia nata proprio lì e del come e del perché si sia diffusa. Ma le mie, ovviamente, sono solo personali opinioni da profana…