Il campiello sommerso di Nantas Salvalaggio, Rizzoli editore
“Venezia che muore, Venezia appoggiata sul mare. La dolce ossessione dei suoi giorni tristi, Venezia la vende ai turisti…”
Così cantava Guccini nel 1981. Prima di lui, nel 1974, ha provato a raccontare di una Venezia in piena e irrefrenabile decadenza lo scrittore veneziano Nantas Salvalaggio.
Nantas è nato a Venezia nel 1923, ha studiato all’Istituto Magistrale “Niccolò Tommaseo”, amava scrivere racconti e poesie, che declamava agli amici appoggiato a una vera da pozzo, e collaborava con il giornalino scolastico. La sua passione lo ha portato giovanissimo a Roma a fare la gavetta giornalistica. Il suo stile brillante lo ha reso giornalista di costume e scrittore di media fama. Aveva dimestichezza con i salotti tanto veneziani quanto romani e i personaggi che li frequentavano compaiono in molti dei suoi libri, spesso sbeffeggiati e ben riconoscibili. Le sue opere non sono di alto profilo letterario ma sono scritte con garbo, con il gusto di chi ama la parola e la sa gestire. I suoi libri si assomigliano tutti, come si assomigliano, e soprattutto gli assomigliano. I loro protagonisti: scrittori o architetti che siano, tutti nascono a Venezia in zona Madonna dell’Orto e tutti migrano a Roma nell’immediato dopoguerra e qui scoprono l’amore e salgono la scala del successo.
Venezia ieri e oggi
La Venezia di Salvalaggio è la Venezia dei ricordi tra il ’20 e il ’40. Anni difficili eppure vissuti con la spensieratezza dell’età giovanile. Quando i suoi protagonisti vi ritornano, ormai adulti, vedono un’altra città, mutata, stravolta. La Venezia dei turisti, affollata, sudata. La città preda di amministrazioni e lobby attente solo al profitto, pronte a speculare su tutto, anche sui progetti di salvaguardia.
Il campiello sommerso, pur nella frivolezza generale del racconto, punta severamente il dito contro i mali che affliggono, ieri come oggi, la città lagunare, contro gli amministratori, contro la Venezia “bene” composta da ricchi borghesi e nobili decaduti che si incontrano ai cocktail e cercano nuovi modi per restare a galla e fare nuovi affari. Il protagonista Sebastiano Venier, alter ego di Nantas, descrive con occhi disincantati la realtà veneziana, occhi che non si fanno ingannare dai paesaggi da cartolina, che vedono oltre le bellezze artistiche e l’eterno ingombrante romanticismo. L’autore disegna un quadro di interessi che spaziano da Porto Marghera ai fondi per la salvaguardia arrivati dalle numerose Leggi Speciali, all’ecologia di facciata che sostiene troppe cause inutili.
Perché rileggerlo
Rileggerlo oggi è un dovere morale per chi vuole avere un ritratto di una Venezia diversa. Il grido, sommesso, lanciato da Salvalaggio con il suo libro non è stato accolto allora e ci ritroviamo, quasi cinquant’anni dopo, con gli stessi problemi, ovviamente ingigantiti. Una città spopolata (tra poco infrangeremo la soglia, al ribasso, dei 50.000 abitanti in centro storico), priva di identità, con i trasporti al collasso, servizi sanitari poco accessibili perché in gran parte spostati in terraferma, acque alte che la tormentano ogni anno di più. Venezia ormai vive solo di turismo e il turismo sarà la ragione della sua fine, per un mortale circolo vizioso.
Ricordi di scuola
E infine un ricordo personale. Mia madre rammentava bene Nantas perché erano stati compagni di scuola alle Magistrali e ne leggeva i libri sorridendo perché rivedeva lui e tutta la compagnia di giovani studenti degli anni ‘30. Riconosceva i volti dei personaggi, le loro vite romanzate e colorate dalla fantasia e ne parlava con le sue vecchie amiche, Gina e Maria, che ne condividevano le impressioni. Leggere Salvalaggio per me è un tuffo nel passato e nella giovinezza di mia madre, in una Venezia che non c’è più.
Chi cercasse questo o altri libri dell’autore può trovarli con una certa facilità nel mercato dell’usato.