C’era due volte
C’era due volte

C’era due volte

C’era due volte di Franck Thilliez, Fazi editore

C’era due volteGabriel Moscato è un ex gendarme della polizia francese. Nel 2020 si risveglia in una camera d’albergo del suo paese natale mentre piovono uccelli morti. Non ricorda niente degli ultimi dodici anni. La sua mente si è fermata al 2008 quando Julie, sua figlia diciassettenne, è misteriosamente scomparsa. Un pezzo alla volta ricostruirà gli anni passati e scoprirà di essere arrivato vicinissimo alla ricostruzione dei fatti e al ritrovamento della figlia. Le sue indagini riprendono e tutte le strade portano all’inquietante scrittore Caleb Traskman e ad alcuni suoi sodali. La domanda principale è Traskman si è veramente suicidato o ha usato il trucco del gemello come nel suo libro?

Tra il macabro e il grottesco

In questa seconda puntata l’autore ripercorre la trama del primo libro raccontando però la “vera” storia di Caleb e i fatti a cui si è ispirato per Il manoscritto. L’evento principale è il rapimento di Julie, la giovane di cui Traskman si è invaghito durante un soggiorno nel paesino di montagna dove viveva la ragazza. Attorno a lui ruota una setta di invasati appassionati del macabro violento. Caleb ne è l’ideatore ed è affiancato da un pittore, un fotografo e uno scultore che fanno della morte una performance artistica. Numerose ragazze sono sparite nel corso degli anni per essere usate in questa bieca industria che le trasforma in macabri oggetti d’arte. Moscato è il classico cane sciolto che non ha più niente da perdere e che si gioca il tutto per tutto per capire cos’è successo alla figlia e soprattutto se è ancora viva.

Se il primo libro poteva avere un suo fascino e incuriosire il lettore, il secondo sembra una continuazione costruita per soddisfare quanti erano rimasti perplessi dal finale.

Gli eccessi da Grand Guignol e l’indugiare sui dettagli macabri alla fine anziché produrre orrore crea una discesa rapida nel grottesco. Tutto è esagerato e la trama assume i contorni di una parodia. I personaggi sono ridotti a stereotipi: il cattivo reso folle da un’infanzia difficile, le vittime superficiali e ingenue, l’investigatore che da solo risolve tutto. E di nuovo l’amnesia del protagonista che costituisce l’asse portante del romanzo.

Niente di nuovo

Insomma niente di nuovo verrebbe da dire. E anche lo stratagemma del libro nel libro, del manoscritto ritrovato che narra di un altro manoscritto e di uno scrittore che confessa i propri delitti mascherandoli nella trama, alla fine delude e non riesce a creare una sufficiente suspence.

Il voler dare a tutti i costi delle risposte agli interrogativi creati dal primo libro alla fine stanca anziché soddisfare le curiosità del lettore. Se avesse lasciato il finale aperto, in stile Calvino, forse avrebbe dato al testo un minimo di originalità. Voler continuare per forza invece finisce con l’annacquare il contenuto in virtù del ricorso a cliché che rasentano la banalità.