Non nel mio nome di Michele Santoro, Marsilio editore
Ecco un libro fresco fresco di stampa, di sicura attualità. In poche pagine Santoro, lucido e implacabile come sempre, fa il punto della situazione in un’Italia stretta tra la guerra e le imminenti elezioni, tra un’economia traballante e una politica senza più punti di riferimento. Il partito che non c’è è quello che emerge dalle riflessioni di Santoro, un partito che si preoccupi veramente dei più deboli, che metta al centro le persone, che non si faccia intimidire dai poteri forti, che non ceda alle lusinghe delle sirene d’Oltreoceano e neppure a quelle continentali. Cosa dovrebbe e non dovrebbe fare? Non dovrebbe pretendere di governare anche i Media, lasciandoli liberi di esprimere le loro opinioni, anche quando sgradite, e i suoi esponenti non dovrebbero parlare tanto per parlare o per raccattare voti. Dovrebbe agire davvero per il bene della gente, fare gli interessi della gente. E inoltre dovrebbe rappresenti tutti quegli elettori che non vogliono più recarsi alle urne o che ci vanno votando l’eterno meno peggio, turandosi naso e quant’altro.
Pace, guerra e politica
Svariati e di vitale importanza i temi affrontati. Troviamo l’asservimento dei mezzi di informazione al potere, con i cittadini vittime di una propaganda massificata che non ammette dubbi di alcun tipo. Ascoltiamo parole di pace contro una guerra insensata e per la quale sembra che nessuno voglia trovare vie d’uscita pacifiche e di buon senso. Leggiamo riflessioni sulla nostra società, sui partiti ormai tutti simili tra loro e privi di una vera e propria connotazione e linea politica che li contraddistingua. Destra e sinistra sono ormai vocaboli vuoti come nella famosa canzone di Gaber. E non risparmia critiche neppure ai 5 Stelle e alla loro parabola decadente, alla loro incapacità di proseguire quella che sembrava un’iniziativa di rinnovamento della politica.
Santoro non ha risposte ma tante domande che dovrebbero spingere tutti a riflettere, a spegnere i televisori a cercare fonti attendibili e pluralistiche perché ascoltare una sola campana non permette mai di costruirsi un’idea oggettiva dei fatti. E ha un sogno, quello di radunare attorno a un progetto di cambiamento tante persone di buona volontà, tanti scontenti, tanti di quelli che ormai da troppi anni continuano a votare per il meno peggio, perché questo paese ha diritto di avere qualcosa di meglio del meno peggio…
C’era una volta Samarcanda…
Il libro è scritto con lo stile schietto, ironico, immediato tipico di Santoro. È il giornalista d’inchiesta che si è distinto per un’informazione pulita e libera da schemi, sin dai tempi di Samarcanda quando era una delle poche voci critiche contro la guerra del Golfo, la cui santità è stata propagandata a reti unificate. Sappiamo tutti come è andata, qual era la verità e come sia stata manipolata.
Abbiamo bisogno di tante voci autorevoli che come Santoro non smettano di dire quello che pensano e che aiutino a svegliare il pubblico sonnolento e intorpidito da un lato e a dare speranza a chi ascoltando le sue ragioni si sente un po’ meno solo.
Assolutamente da leggere, prima e dopo le elezioni.