Finché il caffè è caldo di Toshikazu Kawaguchi, Garzanti
A Tokyo c’è una piccola caffetteria con pochi posti a sedere e uno piacevole stile retrò. Ha più di cento anni, è nata nel 1874, ed è rimasta sostanzialmente immutata negli arredi e nell’atmosfera. Ma quello che la rende davvero particolare è che consente ai suoi avventori, bevendo un caffè caldo, di tornare per un breve lasso di tempo nel passato o nel futuro. L’impresa però non è così facile come potrebbe sembrare a prima vista, bisogna infatti sottostare ad alcune ferree regole.
Questione di regole
Le regole sono le seguenti: bisogna sedersi su una sedia ben precisa, normalmente occupata da una signora vestita di bianco che si alza solo una volta al giorno per andare in bagno; si possono ritrovare solo persone incontrate nel locale; il caffè va tassativamente bevuto prima che si raffreddi, pena l’essere trasformati in fantasma; non ci si può alzare dalla sedia altrimenti si torna subito al presente; si deve essere consapevoli che il presente non può essere cambiato dal viaggio nel tempo.
Molti apprendendo le regole si scoraggiano, ma per qualcuno il viaggio ha una valenza simbolica, è il modo per tirare fuori le parole non dette, le parole del cuore. E così incontriamo Fumiko, una giovane che non è riuscita a esprimere il suo amore al fidanzato che sta per andare a lavorare negli USA. E anche Kòtake approfitta dell’opportunità per un incontro con il marito prima che l’Alzheimer lo trascini nell’oblio. Hirai invece vuole un ultimo colloquio con la sorella morta in un incidente. E infine Kei vuole conoscere il figlio/a, poiché sa che la sua salute non le consentirà di sopravvivere al parto.
Un invito a non sprecare il nostro tempo
Il libro è breve e scritto con la leggerezza e la poesia orientale, anche se talvolta, per i miei gusti, indulge un po’ troppo sull’emotività.
Le quattro donne che si affidano al caffè per recuperare un attimo inafferrabile del loro passato o del loro futuro trovano una risposta e una consolazione ai loro drammi presenti e scoprono l’importanza di vivere con pienezza ogni momento.
I gestori della caffetteria sono consapevoli di compiere un rito quasi sacro nel versare il liquido bollente dalla teiera argentata alla tazzina, mentre un vapore denso avvolge nelle sue spirali il viaggiatore del tempo.
Lasciare che la bevanda e, fuor di metafora, la nostra vita si raffreddi significa rinunciare a noi stessi. Esprimere quel non detto che tanto faticosamente elaboriamo ma non riusciamo a portare all’esterno diventa un atto liberatorio, catartico. Pur non essendo in grado di modificare il corso degli eventi rappresenta un punto di partenza, un nuovo inizio nelle nostre relazioni tanto con gli altri che con noi stessi.
Quanti di noi vorrebbero rivedere una persona cara e magari dirle qualcosa che avevamo sulle labbra e nel cuore ma non avevamo il coraggio o il tempo per esprimere? Ecco che il libro è allora un invito a non sprecare gli attimi perché una seconda possibilità nella vita reale non ci è concessa.