I delitti della casa decagonale di Ayatsuji Yukito, Einaudi editore
Sette giovani universitari appassionati di polizieschi, tutti con un soprannome che rimanda a un grande giallista, decidono di passare una settimana all’insegna del mistero. Si recano così in un’isoletta non facilmente raggiungibile e caratterizzata dalla presenza di un’abitazione di forma decagonale. L’isola è stata teatro di una terribile serie di omicidi terminata con il suicidio dell’assassino. I cinque ragazzi e le due ragazze, Ellery, Poe, Van, Carr, Leroux, Agatha e Orczy non sospettano quello che li attende nella villa. Uno alla volta moriranno senza riuscire a scoprire il colpevole. Intanto dalla terraferma qualcun altro sta indagando su ciò che avvenne nell’isola nel passato e cerca di ricollegarlo alla morte di una giovane studentessa che faceva parte del circolo di giallisti, Chiori.
E poi non ne rimase nessuno…
Il romanzo, pubblicato in Giappone nel 1987, vorrebbe essere un omaggio al giallo classico con particolare riferimento a Dieci Piccoli Indiani di Agatha Christie. Il risultato è un testo cervellotico con dialoghi spesso fini a se stessi, personaggi senza particlare spessore psicologico. La tensione non riesce a decollare e la serie di omicidi procede in una sorta di quieta indifferenza. La scoperta finale del colpevole suona come il classico coniglio estratto dal cilindro e non sorprende ma indispettisce.
Siamo di fronte all’ennesimo autore che contraddice le regole di Van Dine per la stesura di un giallo che si rispetti. In particolare la norma violata più significativa è quella che riguarda la lealtà dell’autore nei confronti del lettore. Il lettore deve essere messo a conoscenza di tutti i dettagli. La vera abilità è quella di nascondere tra le righe movente e nome del colpevole perché il lettore possa giungere alla soluzione assieme all’investigatore di turno. Se l’autore non fornisce tutti i dati non si tratta più di risolvere un enigma ma di attendere dall’autore lo “spiegone” di come il delitto è avvenuto e perché. E in effetti così è anche per Yukito che dedica numerose pagine a descrivere come l’assassino ha compiuto la sua opera malvagia, con quanta astuzia e meticolosità.
Da un punto di vista strettamente personale ho trovato il testo noioso e senza particolari attrattive. In definitiva non mi ha per niente convinto. Non so se sia per colpa della traduzione o dell’autore ma ho trovato lo stile scialbo e la scrittura senza tratti originali.
Il Giappone sullo sfondo appare sfumato, poco o nulla trapela della vita che si svolge al di fuori degli eventi che si susseguono tra la casa decagonale e le indagini in terraferma. Tutto è anonimo e potrebbe essere ambientato in un qualsiasi altro luogo e veder agire qualsiasi altro personaggio. Viene semplicemente realizzata la ricetta standard del giallo classico senza preoccuparsi troppo di dosare con sapienza gli ingredienti. Eppure la magia è proprio quella… Altrimenti quel che resta è un pubblico stupito dal “Siore e siori guardate, non c’è trucco e non c’è inganno”.