La masseria delle allodole di Antonia Arslan, Rizzoli editore
Sulle colline dell’Anatolia, nel 1915, c’è una masseria dove la famiglia Arslanian trascorre ore felici. Ma quella felicità è destinata ben presto a diventare solo un lontano ricordo.
Il capofamiglia Hamparzum è morto nel suo letto e la gestione familiare passa al figlio Sempad, il secondogenito. Yerwant, il primogenito, vive ormai da anni a Venezia. Ha studiato al collegio armeno ed è diventato uno stimato medico. E proprio quando Yerwant decide di tornare a visitare i parenti, dopo tantissimi anni, accade la tragedia.
Mentre Sempad sta organizzando i preparativi per il ritorno del fratello, qualcosa di strano è nell’aria. Siamo nel maggio del 1915 e la prefettura della piccola cittadina convoca tutti gli uomini nel pomeriggio.
I maschi degli Arslanian, assieme ad alcuni conoscenti, si recano alla masseria sospettando qualcosa. Poco dopo sono raggiunti anche dalle donne della famiglia ma purtroppo le loro mosse sono seguite da alcuni soldati. In breve arriva la squadra di soldati e tutti gli uomini della famiglia sono brutalmente uccisi. Le donne sono fatte prigioniere e deportate, assieme alle altre donne del villaggio.
Per tutti gli uomini che erano stati convocati in prefettura non c’è scampo, la loro sorte è già segnata. Ma mentre gli uomini sono uccisi subito, le donne sono condannate a una lenta agonia, condotte a piedi, senza più nulla dei loro beni, senza cibo attraverso strade impervie verso Aleppo. Su di loro si abbatte la violenza dei soldati turchi che le considerano meno di oggetti. Molte di loro muoiono stremate e solo grazie all’intervento di alcuni conoscenti della famiglia Arslanian e di Zareh, fratello di Sempad che vive ad Aleppo, i pochi superstiti della famiglia riusciranno a fuggire e a salvarsi emigrando a Venezia.
Il genocidio armeno
Il libro racconta con determinazione e mille particolari il genocidio armeno. C’è un prima e un dopo nella narrazione. Il prima è la vita fino al 1915, non del tutto serena perché turbata dai precedenti massacri di fine Ottocento, ma quasi tranquilla nella sua routine. Il dopo è tutto ciò che vedono e che patiscono i pochi sopravvissuti ridotti a larve umane, trattati come bestie, derisi, umiliati. Quel che vediamo descritto è un girone infernale in cui l’umanità è scomparsa lasciando il posto a forme di crudeltà impensabili e indicibili.
Di genocidio appunto si trattò, di sterminio di un’intera popolazione, di una minoranza che infastidiva chi era al potere. Genocidio come quello subito dai Nativi americani in virtù della funesta Dottrina del Destino Manifesto. Perché di genocidi, ovvero di meditati stermini e persecuzioni di interi popoli, purtroppo nella Storia ce ne sono stati molti e nessuno ne ha la tragica esclusiva.
Come cantava Guccini:
“Io chiedo quando sarà che l’uomo potrà imparare a vivere senza ammazzare e il vento si poserà”.