Ogni mattina a Jenin di Susan Abulhawa, Feltrinelli editore
1948, l’anno della Nakba, la catastrofe, del popolo palestinese. Da qui comincia il loro lungo e drammatico esodo. In centinaia di migliaia sono costretti con la violenza a lasciare la loro terra e sono deportati in massa in fatiscenti campi profughi. Da poco prima comincia anche la storia di Yaheya e Bassima e della loro famiglia e potremo seguire anno dopo anno le vicende dei loro figli Hassan e Darwish e dei loro nipoti.
La narrazione si concentra sul figlio Hassan che sposa la bellissima Dalia da cui ha tre figli: Yussef, Isma’il e Amal. Durante la deportazione a Jenin, Isma’il, che ha solo pochi mesi, viene rapito dagli Israeliani e cresciuto, con il nome di David in una famiglia ebrea, che non poteva avere figli. Dalia sopraffatta dal dolore della perdita si chiuderà sempre più in se stessa fino a perdere completamente la ragione. Seguiremo le vicende di Yussef e di Amal, le loro storie di progressive perdite degli affetti più cari strappati dalla violenza insensata degli occupanti.
Isma’il – David scoprirà da adulto il suo passato e si riunirà a ciò che resta della sua famiglia Ci sorprenderemo nel vedere come nonostante tutto Amal conservi la sua forza e la sua dignità anche se la vita la pone davanti a sfide e lutti. Porterà avanti i suoi studi, vivrà in America per un lungo periodo e quindi ritornerà in Palestina dove si compirà il suo destino. La figlia Sara ne riprenderà il cammino con la stessa forza d’animo che ha contraddistinto tutta la famiglia, di generazione in generazione.
Dalla felicità all’incubo
“In un tempo lontano, prima che la storia marciasse per le colline e annientasse presente e futuro, prima che il vento afferrasse la terra per un angolo e le scrollasse via nome e identità, un paesino a est di Haifa vive tranquillo di fichi e olive, di frontiere aperte e di sole”.
Così inizia un libro che lascia il segno. È il racconto di un lungo dolore che si snoda per sessant’anni. Attraverso le storie dei protagonisti, inventati ma credibili, assistiamo attoniti alle violenze, alle umiliazioni quotidiane subite da un intero popolo cacciato dalla propria terra e costretto a vivere in ghetti di pochi chilometri quadrati, sorvegliato a vista dai soldati, picchiato ai posti di blocco, sottoposto ad angherie di ogni tipo. Vivremo gli episodi salienti dell’occupazione, dalla Nakba del 1948 alla guerra dei Sei Giorni del 1967 all’eccidio di Sabra e Shatila del 1982.
Amore per la propria terra
Eppure in tutta questa sofferenza non c’è rassegnazione e neppure odio. C’è il desiderio di convivenza pacifica, come quella testimoniata tra l’arabo Hassan e l’ebreo Ari, c’è il bisogno di amicizia, come quella tra Amal e Huda, ci sono i grandi affetti familiari tra genitori e figli e tra fratelli, c’è l’amore tra Hassan e Dalia, tra Yussef e Fatima, tra Amal e Majid.
Quella che emerge è una gran voglia di vivere, non di sopravvivere, e un immenso amore per la propria terra. Odori e sapori indimenticabili che riempiono la vita di Amal e ne colorano i ricordi. La sua infanzia è difficile eppure piena e nonostante tutto felice perché ricca di sentimenti veri che le permettono di superare ogni nuova avversità che si abbatte sulle sue spalle.
La politica giace sullo sfondo e le critiche coinvolgono tutti, dai presidenti israeliani che cambiano ma non cambiano idea sull’occupazione, ai leader palestinesi, primo tra tutti Arafat, che non riescono a ottenere risultati significativi. E poi naturalmente USA ed Europa che semplicemente stanno a guardare…
Un libro che dovrebbe essere letto a scuola e la sua colonna sonora perfetta sarebbe Shalom di Roberto Vecchioni.