À rebours, A ritroso di Joris Karl Huysmans, edizioni BUR
Jean Des Esseintes dopo una vita dissoluta si ritira in una abitazione fuori Parigi, a Fontenay. La sua casa è una sorta di biblioteca-museo colma di stravaganze. Piante grasse d’ogni tipo, mostruose, insolite; libri fatti stampare appositamente per lui che vanno dalla tarda latinità al Medioevo; liquori pregiati; mobili su misura ricercati e costosi; quadri rari. Tutto è all’insegna dell’eccesso e della fruizione estetica che diviene ragione di vita. Quel che era sensualità rivolta al mondo femminile diventa sensualità verso gli oggetti, che devono essere unici, creati unicamente per il suo apprezzamento, eccessivi al limite dell’inquietante.
Assistiamo così a lunghe liste dove l’autore enumera con dovizia di particolari libri, liquori, quadri, piante. Ogni elemento è descritto mettendone in risalto la peculiarità. La rilegatura, la carta e la stampa di un libro, le caratteristiche morfologiche di una pianta, le figure e i colori di un quadro. Tutto diviene momento di gioia estetica che si trasforma e si sublima in una nevrosi estrema. Des Esseintes finisce con l’ammalarsi, preda di uno spleen decadente che lo divora fino quasi ad annientarlo. Giunto al limite, spinto dall’istinto di sopravvivenza, decide di riaffacciarsi al mondo e di tornare in società, pronto forse a una conversione.
Estetismo e decadenza
Wilde, D’Annunzio, Proust sono debitori all’opera di Huysmans e al suo decadentismo connotato da atmosfera e linguaggio. La nevrosi di Des Esseintes, il suo contornarsi di pezzi unici, il collezionare oggetti preziosi e insoliti diviene il paradigma narrativo di molti autori tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Il protagonista è l’emblema dell’esteta vittima della propria inestinguibile sete di possesso della rarità e della necessità di entrare in una sorta di comunione con le cose di cui si circonda e che lo inebriano sino a condurlo alla follia. Nel personaggio nevrotico e incostante di Huysmans possiamo anche ritrovare una vaga eco dell’Oblomov di Gončarov o dell’Ulrich di Musil.
In tutti questi protagonisti ritroviamo il desiderio di fuga dal mondo, un vivere fuori dagli schemi in una condizione di eterno malessere esistenziale, di non-interesse nei riguardi del vivere in società. La casa o addirittura un’unica stanza, diviene il centro delle attività. Tutto gravita attorno a ciò che in essa è contenuto e l’esterno è bandito dai pensieri. L’annullamento del sé nell’oggetto, la meditazione estrema sul fallimento della socialità si trasformano in una psicosi che travolge non solo il singolo e che si presenta come un preludio ai fatali sconvolgimenti che hanno sconquassato il Novecento.
Oggi come allora
Possiamo vedere somiglianze tra l’Universo malato di Des Esseintes e quello attuale? Forse sì, se pensiamo agli eccessi del social e del virtuale che ci trascinano in un’esistenza irreale alla ricerca di un inafferrabile momento di felicità. Il vivere nel trionfo assoluto del qui e ora ci allontana sempre di più dalla riflessione sul passato e dalla prospettiva di costruzione di un futuro. Siamo racchiusi in una bolla di eterno presente dove ci beiamo di effimeri successi e siamo preda di desideri che qualcun altro ha subdolamente instillato nella nostra mente.